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Natale con Briscoe

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Il Natale è sicuramente una delle feste religiose più importanti. Pur essendo, per tutto l’Occidente e l’Oriente, la celebrazione dell’incarnazione della divinità nella persona di Gesù bambino, possiamo con certezza affermare che le tradizioni natalizie hanno origini molto antiche, ben prima della vera e propria nascita di Gesù, intrecciandosi anche a culti pagani. È una festa così sentita nell’immaginario collettivo che tutti la festeggiano, dagli ultraortodossi ai miscredenti, ognuno a modo proprio. In ogni caso, alla base del Natale troviamo il simbolo della nascita, dunque della famiglia: il Natale è un giorno in cui ciascuno si stringe nel proprio focolare domestico.

Ma volendo focalizzare la tradizione cristiana, tutti sappiamo che quel giorno viene festeggiata la nascita di Gesù e cioè l’incarnazione della divinità in un corpo. Vorrei pertanto, anche se in modo molto semplice, evidenziare il fatto che il Natale è forse la festa che più sottolinea l’importanza del corpo: il corpo è così importante, che la divinità stessa si è incarnata per farne esperienza e, in qualche misterioso modo, lo divinizza a tal punto che nella Pasqua cristiana se ne festeggia la resurrezione dopo la morte (il fine dell’incarnazione è infatti la salvezza integrale dell’uomo). La famiglia di Nazareth è, dunque, fin da duemila anni fa, il simbolo dell’alveo dell’amore, in cui tutte le famiglie, a maggior ragione quelle non tradizionali (quale famiglia è meno tradizionale di quella di Nazareth?), possono riconoscersi e sentirsi partecipi dell’amore divino.

 

Con tale presupposto posso sicuramente, in queste feste di Natale, consigliare il romanzo “Briscoe Hall”, scritto da Giuliano Brenna con una rara passione di cui sono diretto testimone. È il suo libro d’esordio, ed è veramente sorprendente. Ho potuto leggerlo ben prima della sua pubblicazione e proprio durante le vacanze natalizie di alcuni anni fa: ricordo che, al focolare degli miei affetti più intimi, ho veramente goduto di questa lettura come di una delle storie più belle che potessi avere tra le mani, si tratta infatti di una narrazione, sia come contenuti sia come stile, capace di insufflare nello spirito un senso di vitalità nei confronti dell’esistenza, una vitalità gioiosa tale da sentirsi trasportati in una delle più belle favole che uno possa mai leggere. Ma la cosa sorprendete di questo romanzo è proprio il fatto che non è intriso di spiritualità convenzionale, semmai di corporeità non convenzionale, in cui il lettore può entrare fino a trovarsi nel luogo più assurdo, letterariamente parlando, proprio per questo libero, in cui forse abbia mai potuto entrare per mezzo di un libro. Assurdo perché è contrario alla ragione e all’evidenza che ogni lettura, normalmente affrontata dopo che si esce dalla libreria con un libro in mano, pone banalmente davanti ai nostri occhi. Qualcuno sprovveduto, leggendo questo romanzo, potrebbe parlare di letteratura omoerotica ma è veramente una categorizzazione approssimativa e ingiusta se non vengono definite opportune premesse… io stesso parlando del libro, alle volte, così l’ho identificato, sbagliando, semplicemente per fare intendere, grossolanamente, di cosa tratta il libro, ma qui voglio andare ben oltre a tale categorizzazione approssimativa e fuorviante, proprio in forza della premessa fatta: con il Natale della divinità viene definita, socialmente, storicamente e teologicamente, l’importanza e la forza del corpo come elemento di relazione tra noi essere umani e il mondo in cui ci troviamo a vivere in modo naturale e talvolta, per chi crede, soprannaturale. La forza di questo libro è proprio nei corpi, nel fatto che il corpo è manifestazione della persona e delle sue istanze, ed è il corpo a rivelare in “Briscoe Hall” la psicologia e la dinamica delle relazioni di ciascun personaggio della storia narrata, abilmente ambientata nell’Inghilterra dell’epoca vittoriana, scritta in un linguaggio così ben costruito che ogni racconto, anche di parti intime e di rapporti sessuali, rimane sublime senza mai scadere nella rozzezza dei termini, dimostrando come l’arte possa trasportare la realtà dei fatti e delle azioni in un altrove universale al di là della materialità: l’arte nella forma di scrittura, così come una scultura o una pittura di nudo. Per una volta nella letteratura italiana si parla dell’essere gay come di qualcosa di bello, si strappa quel fastidioso velo con il quale la stessa comunità gay si copre in un finto pudore, vinta da un senso di colpa ancestrale, senso di colpa da qualcuno sapientemente cucito nei secoli proprio prendendo a pretesto l’evento dell’incarnazione: ogni rapporto tra persone con lo stesso sesso è stato assurdamente compromesso, gettato al pasto dell’inferno, escluso dalla salvezza scaturente dalla bellezza di una nascita. Questo, come dicevo, è sì un romanzo omoerotico, con le giuste premesse possiamo dirlo, ma i personaggi che lo costellano, tranne alcune eccezioni necessarie alla narrazione e funzionali a un confronto, non sono tristi e angosciate da una colpa, bensì felici e contente di esserlo; ogni individuo, seguendo il ritmo battuto dal personaggio principale, Briscoe, in lui e con lui si libera ed esprime la sua corporeità come veicolo di relazione umana vera e imprescindibile, ogni difesa pian piano crolla; come in un nuovo Natale gli individui rinascono nei propri veri corpi, ripuliti dalla paura e dalla tristezza della propria condizione. E forse anche noi lettori, al di là dell’omosessualità o dell’eterosessualità, leggendo questo libro ci sentiamo di volere o dovere provare, consciamente o inconsciamente, a liberarci del fardello di una colpa inesistente che ci appesantisce il cuore. Briscoe non prova mai vergogna, colpa o quant’altro di negativo nelle sue relazioni sessuali che invece, spesso, vengono socialmente associati al sesso quando compiuto al di là di una relazione stabile. Briscoe lascia che il suo corpo provochi piacere a se stesso ma anche agli altri, si abbandona, attivo o passivo, sempre limpido, cosciente, mai passando per la sua testa un senso di colpa, e credetemi se vi dico che il personaggio è credibile per come è stato ben caratterizzato dall’autore, è perfettamente innestato nella sua epoca. Ma Briscoe sa anche innamorarsi, e proprio lì si arriva, alla fedeltà dell’amore, perché solo l’amore ricambiato porta alla fedeltà, anche alla castità, se occorre: come conseguenza e non come presupposto. In questo senso Briscoe scalza secoli di bigottismo e fanatismo religioso che ritengono la castità del corpo più importante di quella dello spirito, addirittura nemmeno confrontabile con la castità dello spirito, si legga: posso compiere ogni nefandezza nei confronti del prossimo, sfruttarlo, maltrattarlo… l’importante è che io faccia sesso solo con mia moglie o almeno tutti pensino che io lo faccia solo con mia moglie. Invece Briscoe realizza pienamente la libertà del proprio corpo per arrivare alla fedeltà dell’amore, perché è donando il proprio corpo con consapevolezza che egli impara ad amare e a essere per l’altro ciò che altri, repressi e tristi, mai potranno essere: fedeltà.

E allora, ve la sentite voi di non leggere a Natale questa meravigliosa coinvolgente-travolgente favola d’amore?

 

Leggi Briscoe Hall

 

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